L’isolamento che nel 2020 ha costretto tra le mura domestiche l’intera umanità induce a riflettere su opposti fenomeni di segregazione volontaria riconducibili alla claustrofilia. Sfuggire alla dimensione sociale cui vitalisticamente siamo spinti è una patologia psiconevrotica o un’espressione estrema di libertà?
Il testo preliminare Analisi terminabile e interminabile è una riflessione intorno a innumerevoli problemi teorici e di tecnica psicoanalitica, condotta da Sigmund Freud con sentire distaccato, venato di scetticismo. Un saggio crepuscolare, focalizzato sulla questione della durata della terapia e sulla possibilità di una fine naturale dell'analisi. L’autore è costretto ad ammettere che il lungo e faticoso processo terapeutico non garantisce la certezza della guarigione: la trasformazione del paziente avviene, ma spesso solo parzialmente. Possibili le ricadute, che tramutano la cura in una “segregazione” interminabile. Può succedere – dichiara infatti Freud – che il lavoro del terapeuta per contrastare il fattore quantitativo della forza pulsionale non sia in grado di aiutare in modo sufficiente l'Io dell’analizzando. L’incertezza dell’esito terapeutico e temporale della cura – cioè il suo prolungamento indefinito nel chiuso del setting analitico – è pertanto condizionata dal rapporto di forza esistente tra le istanze che si combattono nella psiche del paziente.
Di diverso parere è lo psicoanalista Elvio Fachinelli, che nel testo proposto, Claustrofilia, individua la causa dell’interminabilità dell’analisi non tanto nel conflitto pulsionale, quanto piuttosto nell’essere l’analisi stessa caduta vittima del proprio inconscio. Nell’essersi cioè ritirata in una dimensione claustrale, dove fra analista e paziente si stabilirebbe una relazione di “unità duale” che riproduce la relazione tra la madre e il neonato: un confortante adagiarsi nel claustrum, origine patologica del transfert simbiotico. La terapia, di conseguenza, rischia di essere assunta come riparo rispetto alla prospettiva di un mutamento» di rivelarsi per il paziente non un’opportunità di rilancio e riapertura esistenziale, ma al contrario nel «momento di una nuova e duratura otturazione» in una chiusura regressiva modellata sull’immagine primigenia dell’utero materno.
Non è più solo giapponese il fenomeno degli Hikikomori: sconfinato in Occidente, solo in Italia si stima siano almeno 30.000 gli adolescenti autoreclusi nella propria stanza, dopo aver abbandonato la scuola e ogni attività sportiva e ricreativa. Una rinuncia incomprensibile e sinora sconosciuta per genitori ed educatori, cui tenta di dare risposte il saggio Hikikomori di Marco Crepaldi. Specializzato in psicologia sociale e comunicazione digitale, l’autore ha gli strumenti per avvicinare e capire i teen-ager reclusi, ai quali ha dedicato l’Associazione Hikikomori Italia, fondata nel 2017. Per scoprire che non è la depressione a spingere i nostri adolescenti a una scelta così estrema, bensì il senso di vergogna e la paura del rifiuto dell’intensa vita sociale che questa fase della vita implica. Al vitalismo, anche indotto, tipico dell’adolescenza, questi ragazzi preferiscono l’universo minimo di una stanza, dotata però di quella finestra immensa affacciata sulla rete. Un luogo di allettanti promesse dove si può vivere virtualmente ed essere protagonisti con un corpo avatar.
Tornerà in auge dopo il lockdown, perché tutti potremo comprenderlo, il petit roman Viaggio intorno alla mia camera, dell’estroso scrittore e militare francese Xavier de Maistre. Un divertissement di gusto settecentesco, ma già venato di malinconia romantica, che nei 42 capitoli corrispondenti agli altrettanti giorni di una quarantena, racconta un viaggio letterario ed emotivo nella propria stanza: 36 passi appena. Dove ogni oggetto accende una storia, un ricordo, una riflessione, lo specchio la metafora della necessità di guardarsi dentro. Allora pareva il contraltare minimo (e ironico) dei grand tour in Europa o delle spedizioni naturalistiche oltreoceano, oggi si può leggere quale esempio virtuoso contro il viaggiare ormai predatorio e insostenibile.